Pagliacci. Le curiosità sulla vicenda delittuosa raccontate nell’Opera
Era il lontano 1892, in una tiepida serata del 21 maggio, quando al Teatro dal Verme di Milano va in scena per la prima volta Pagliacci, opera lirica in due atti su musica e parole di Ruggero Leoncavallo.
Una vera consacrazione del compositore partenopeo che diventa famoso in ogni zona d’Italia. La gelosia e il tradimento in primo piano, con il protagonista che uccide la moglie in scena, reso furioso dall’aver scoperto la tresca e di viverne una parallela al momento della recita.
Ma in che modo è nata la composizione?
La leggenda vuole che sia stata tratta da un fatto realmente accaduto: il padre del compositore, infatti, era un magistrato impegnato a risolvere la vicenda delittuosa. Ma è andata davvero così?
Nato a Napoli, Leoncavallo cominciò a studiare musica sin da piccolissimo e già a cinque
anni prendeva lezioni a Montalto Uffugo, piccolo comune calabrese in provincia di Cosenza. La scelta di questa nuova residenza fu dovuta al fatto che il padre del compositore, Vincenzo, si era dovuto trasferire da queste parti per svolgere il suo incarico di magistrato. Il piccolo e irrequieto Ruggero doveva essere sorvegliato in qualche modo e fu allora che lo stesso Vincenzo scelse per tale lavoro un domestico, il ventenne Gaetano Scavello.
Siamo nel 1865, Leoncavallo ha appena otto anni e non è poi così scontato che possa ricordare un fatto del genere tanto bene. La cronaca nera, infatti, stava per turbare la tranquillità consueta di Montalto Uffugo.
Il giovane Scavello si era preso una bella cotta per una ragazza del paese, ma di quest’ultima s’era innamorato anche il calzolaio Luigi d’Alessandro. Un giorno di marzo il domestico di casa Leoncavallo vide entrare la ragazza in una casa colonica insieme al garzone della famiglia D’Alessandro, Pasquale Esposito.
Pretendendo maggiori spiegazioni, Scavello fermò Esposito, ma il suo rifiuto di parlare lo fece infuriare al punto da spingerlo a frustarlo alle gambe con un ramo. L’incidente venne raccontato allo stesso Luigi D’Alessandro e al fratello di questi, Giovanni. La sera successiva i due minacciarono più volte Scavello e lo accoltellarono a morte in un violento parapiglia all’uscita da uno spettacolo teatrale.
L’istruttoria fu cominciata proprio da Vincenzo Leoncavallo, ma soltanto inizialmente, in quanto tutto il resto del processo venne seguito dall’avvocato Francesco Marigliano, con la condanna a venti anni di reclusione per Luigi e ai lavori forzati a vita per Giovanni. Come si nota, il piccolo Leoncavallo non poteva aver assistito a questa vicenda, profondamente diversa da quella dell’opera lirica. Più realisticamente deve averne sentito parlare dal padre, ma anche dagli altri cittadini di Montalto Uffugo, profondamente scossi per quanto accaduto.
Tra l’altro, la gestazione del libretto non fu né semplice né incoraggiata. Una volta ultimato, il compositore partenopeo si recò dall’editore Ricordi, ma quest’ultimo rimase sconcertato, in particolare dal prologo iniziale, il manifesto dell’opera verista. Secondo Ricordi, in quel modo si creava troppa confusione tra comicità e tragicità, privando il lavoro di ogni effetto.
Leoncavallo si affidò allora a Sonzogno, ben disposto a rappresentare il suo lavoro e questa scelta fu azzeccata, in quanto con i soli Pagliacci il musicista riuscirà a superare gli incassi di Giuseppe Verdi.
Il cast stellare fu di notevole aiuto, con il celebre baritono francese Victor Maurel nella parte di Tonio e Arturo Toscanini a dirigere l’orchestra.
La storia di Pagliacci rimarrà sempre immortale, ma va celebrata più come l’elaborazione fantasiosa di un fatto reale, che come ispirazione diretta.